CALCIO & RELIGIONE. Amine Ferhani: "L'Islam? Vuol dire pace"
In Iraq 13 ragazzi fucilati dall'Isis perché tifavano la Nazionale di calcio. Parla il calciatore marocchino della Monterubbianese: "Il Corano vieta di uccidere"
Giovani fucilati dall'Isis in Iraq perché tifavano la Nazionale di calcio. E guardare le partite va contro la Sharia. Con questa motivazione il 12 gennaio i miliziani dello Stato Islamico hanno fucilato in piazza, a Mosul, in Iraq, 13 ragazzi che stavano sostenendo la selezione del loro Paese impegnata nelle partite della Coppa d’Asia. La notizia è stata diffusa oggi dalle agenzie di stampa e immediatamente ha fatto il giro di giornali e siti. Prima la strage di Charlie Hebdo, ora il dramma dei ragazzi ammazzati perchè appassionati di calcio. Troppo sangue scorre per il fanatismo religioso. Ne parliamo con Amine Ferhani (foto), calciatore marocchino di 21 anni (è nato a Casablanca) che milita nella Monterubbianese, squadra impegnata nel campionato di Seconda categoria G. Amine è in Italia da diversi anni e pur essendo di religione islamica si è integrato alla perfezione con la comunità nazionale. "Sono in Italia da quasi 8 anni e mi trovo bene - racconta - all'inizio ho avuto qualche problema perché non conoscevo la lingua e quindi non potevo comunicare ma piano piano ho fatto amicizie ed è stato bellissimo perché tutti mi hanno accolto e mi hanno voluto bene come tutt'ora voglio bene anch'io a tutti i miei amici".
Hai avuto mai problemi durante una partita per via della tua religione?
"Non ho mai avuto nessun tipo di problema. I 13 ragazzi uccisi perchè stavano vedendo una partita di calcio? Non l'ho saputo ma tutto quello che sta succedendo non va bene perché la nostra religione non permette di uccidere persone innocenti, ma la gente sbaglia e dà la colpa all'Islam e non sa che l'Islam vuol dire pace e che il Corano vieta di uccidere. Siamo tutti fratelli e sorelle e spero che tutto questo non succeda mai più".