Il Kosovo, l'Italia, l'Avis Arcevia. A tu per tu con Alban Berisha
"Mi manca la mia terra, ma sono sempre più italiano. L'operazione e la squalifica sono superate. Rifarei mille volte la scelta di venire qui"
ARCEVIA. Chi lo avrebbe mai immaginato in biancorosso il nativo di Prizren, cuore del Kosovo meridionale e patria del “Dokufest”, festival di cortometraggi tra i più importanti in Europa. L’Europa appunto, la Comunità Europa, un’indipendenza autoproclamata il 17 febbraio 2008 e ancora non riconosciuta da ottantadue nazioni dell’Onu. Con il padre ricercato in quanto attivista per il “Kosovo Libero” e convinto militante contro la Serbia antiscissionista, Alban Berisha (foto) è costretto a fuggire nel Belpaese all’età di 6 anni, quella in cui cominci a stringere i primi veri rapporti, quella in cui t’innamori del pallone. Fossatano d’adozione, dialetto umbro a certificarne l’effettiva integrazione, il balcanico dalla mascella imponente inizia a tirare i suoi primi calcio alla sfera di cuoio nei campetti del borgo perugino. Non è ancora maggiorenne quando indossa per la prima volta la casacca del Fossato Calcio, otto spezzoni, pochi minuti, ma la bellezza di 5 gol. E’ qui che Arcevia incrocia per la prima volta la strada di Alban, infatti ad aiutarlo e sostenerlo in mezzo al campo c’è soprattutto Luca Santinelli, futuro leader difensivo dei biancorossi di Mario Andreini ed esempio impagabile per stessa ammissione del bomber balcanico. Ma la cattiva sorte torna a tuonare come i missili su Prizren ed in serie arrivano un infortunio gravissimo al ginocchio e la squalifica di un anno e mezzo per aver inferto uno schiaffo al direttore di gara. Un gesto imperdonabile e di cui non può andar fiero, ma avvenuto al centoquindicesimo minuto di un playout perso in cui l’arbitro non si era censurato dal provocarlo per le sue umili origini extracomunitarie. Chi avrebbe mai immaginato che lì non si sarebbe stoppata l’ascesa di una carriera così incerta quanto acerba. A credere in lui rimane una sola figura, il d.s. del Sigillo Calcio Niccolò Bazzucchini. Ai nastri di partenza stavolta si presenta quello che a molti sembra essere divenuto un uomo, un militante come papà Selvet, il cui conflitto principale (quello con se stesso) è stato vinto con successo. Trentasei reti in tre annate a Sigillo, poi altre venti nei successivi due campionati dopo il rendez-vous col Fossato Calcio. E finalmente eccolo superare il valico e esordire al Comunale coi colori biancorossi. Nella sua “prima” all’ombra del Cischiano tutto sembra trasformarsi in un sogno, vittoria per 3-1 contro i vicecampioni di Collemarino, eurogol da posizione impensabile e assist delizioso per la rete di Testaguzza che sigilla il match. Sembra, appunto. Chi avrebbe mai immaginato che una decisione del direttore sportivo e l’annata sfortunata della squadra gli avrebbero fatto vivere la stagione più difficile della sua carriera. Ma soprattutto, chi avrebbe avuto la forza di rialzarsi nuovamente e accettare nuovamente questa sfida?
Ripartiamo da San Biagio. Con un eurogol hai aperto la tua avventura qui e con una rete d’alta scuola hai trafitto i galletti di Osimo. Hai una preferenza tra quelle segnate in Arcevia? “Sicuramente non dimentico quella splendida rete segnata all’esordio con il Collemarino e la giornata da favola. Si mise di mezzo il giudice sportivo però.”
Tutto iniziò quella domenica d’inizio settembre. In cosa è cambiato Alban Berisha a distanza di un anno e mezzo? Rifaresti nuovamente la scelta di vestire biancorosso? “Sembrava un inizio promettente ma si è rivelato un anno molto duro. Io sono molto timido e riservato, non lego subito con le persone intorno a me, quindi anche da quel punto di vista è stata una stagione travagliata. Devo ringraziare capitan Fenucci per avermi sostenuto durante l’anno e Marco Baldetti nei cui confronti nutro un rispetto grandissimo. Anche Giommetti e Battistoni, compagni con cui ho condiviso i chilometri per arrivare al campo d’allenamento, sono stati ragazzi eccezionali. A mio avviso si ricercava troppa professionalità nell’ambiente lo scorso anno e si tralasciava l’aspetto umano dello scherzare e far gruppo. Con i ragazzi che si sono integrati quest’anno la storia è completamente cambiata, ho legato tantissimi con Bramucci e Agostinelli, si lotta e si suda fino alla fine per la vittoria, mi sento a mio agio e per questo posso dire che rifarei altre mille volte questa scelta. ”
Nato a Prizren, radici kosovare. In cosa la tua terra ti ha forgiato nel carattere e nell’atteggiamento in campo?E’ un valore aggiunto secondo te l’elemento balcanico accresciuto nello spogliatoio con la presenza dei fratelli Mizdrak e dei Kola? “Purtroppo mi sono goduto troppo poco la mia terra, me ne andai a soli sei anni. Spero di ritornarci un giorno anche se forse sono diventato veramente troppo italiano! E’ vero siamo una bella brigata balcanica, con i fratelli Kola ho giocato molti anni anche in Umbria e mi sono trovato sempre benissimo. Siamo gente molto passionale, per noi l’amicizia è sacra e aver trovato molti amici nello spogliatoio mi spinge a dar tutto per l’Arcevia.”
In Arcevia appunto sei conosciuto come un ragazzo tranquillo e taciturno, ma torniamo a quell’aneddoto interessante. In cosa ti ha segnato la lunga squalifica? “Era una finale playout, giocavo con la juniores regionale del Nocera. Al centoquindicesimo minuto, dopo l’ennesima provocazione dell’arbitro sulle mie origini, non sono riuscito a contenermi e ho provato a dargli uno schiaffo, prendendolo di striscio. Non vado per niente fiero del mio gesto ma fortunatamente poi mi ridussero la squalifica da diciotto a sei mesi. Fu un’eccezione, voi conoscete il vero Alban!”.
Gli infortuni hanno condizionato molto il tuo ambientamento qui, ti fa rabbia questo aspetto? “Purtroppo non mi hanno fatto esprimere al meglio delle mie qualità, mi fa molta rabbia ma sò bene che fa parte del gioco.”
Quelle che reputi le tue qualità migliori? “Non saprei cosa dire con precisione, ma ai miei precedenti allenatori sono rimasto impresso per la mia tecnica di tiro e il modo in cui attacco gli spazi nella difesa avversaria.”
Ora sei papà della bellissima Leandra, cosa vuol dire essere padre? “Mia figlia è la prima ragione di vita. Può sembrar scontato, ma come diceva mio padre “quando diventi padre ti cambia la visione delle cose”. E’ assolutamente vero e io sono stato anche molto fortunato ad avere dei genitori così fantastici a cui voglio un mondo di bene. Spero di trasmettere a Leandra ciò che loro hanno trasmesso a me.”
La squadra più forte? Il giocatore migliore? “La squadra migliore che ho visto è il Moie Vallesina, molto compatta e completa in tutti i reparti. Riguardo il singolo, sinceramente nessuno mi ha impressionato così tanto.”
Un messaggio ai tifosi biancorossi? “In questo anno e mezzo ho capito quanto i tifosi arceviesi sono esigenti e legati alla squadra. E’ molto positivo perchè è segno di attaccamento e quindi chiedo loro di continuare visto che quest’anno ci toglieremo molte soddisfazioni. Quando giochiamo al nostro livello siamo al pari del Moie Vallesina e anzi forse migliori. Perchè quando decidiamo di giocare non ce n’è per nessuno!”.
Tutto o niente, questo è Alban Berisha, ardore balcanico e milite di stirpe.
FENUCCI LORENZO (arcevia1964.it)