LA LETTERA. "Io, escluso dai titolari senza un motivo. Non mi arrendo"
Buongiorno gentile redazione, leggo sempre con interesse il vostro sito e vi faccio i miei complimenti per come viene gestito. Mi piacerebbe farvi partecipi su quello che mio figlio si è sicuramente sentito di scrivere in questo suo momento calcistico del tutto negativo, perché si sa, si leggono notizie positive e, ne sono contenta, ma ci sono anche dei lati negativi. Vi riporto solo alcuni pensieri che secondo me potrebbero far riflettere...
"Non avevo ancora compiuto 6 anni quando per la prima volta entrai in un campo di calcio, ero così piccolo che non mi rendevo veramente conto di cosa dovevo fare. Poi ecco il pallone, i primi calci, mi divertivo con i miei amici. Non avevo un ruolo ma un giorno, ricordo, mi misi in porta: i tuffi, il fango, mi piaceva tutto, e da quel giorno quella porta non l'ho più lasciata. Ero piccolo e paffuto, mi dicevano non puoi diventare un portiere ma io non mi sono arreso, ormai ce l'avevo nel sangue, crescevo, mi allenavo, non avevo orari, quello era il mio mondo. Sono diventato un ragazzo alto, magro, mi sentivo forte, ero (e lo sono ancora) convinto delle mie capacità, il mio preparatore mi adorava, arrivano le prime soddisfazioni, titolare nella mia squadra, allenamenti con i grandi, convocazioni con le rappresentative provinciali e regionali ma arriva il momento di fare una scelta: 17 anni è una data importante, chi mi vuole di quà chi di là ma arrivano anche le prime e vere delusioni. Mi alleno 5-6 ore al giorno, non perdo un allenamento, gli allenatori soddisfatti, ricevo tanti complimenti, arriva l'inizio del campionato e vado in panchina. Ci sta, mi dico, la volta dopo tribuna, e così via. Ogni sabato chiedo spiegazioni, la motivazione non l'ho accettata. Non capivo perché mi dicevano cose assurde, poi ho capito, mi sono detto: benvenuto nel reale mondo del calcio dove la bravura, l'impegno e la serietà nulla possono contro il Dio denaro! Mi sono sentito umiliato e impotente, fare un'ora, cinque o dieci ore di allenamento non avrebbero fatto differenza così ho deciso di lasciare la squadra. Non potevo continuare così, psicologicamente mi sentivo distrutto. Ho cercato disperatamente una squadra ma in questo momento non è facile, ma io non mi arrendo, ho tanta e troppa voglia di giocare, amo troppo questo sport per dargliela vinta! Spero che da qualche parte esistano ancora società serie che ti giudicano per quello che realmente vali in campo! E io lo so che posso dare e fare ancora di più, magari chissà che a Natale possa trovare un bel regalo? Io non mi arrendo".
Nota della redazione. Tra le righe si percepisce la disperazione di questo ragazzo ma anche la sua determinazione di provarci fino alla fine. E la speranza di riuscirci. Chissà quanti altri ragazzi si trovano nella sua stessa paradossale situazione. Una parte del calcio che amiamo è marcio fin nelle radici, e va cambiato. Vero che "uno su mille ce la fa", ma a tutti deve essere concessa l'opportunità di dimostrare il proprio valore. E, perchè no, di sognare. Perchè, come diceva Shakespeare, "nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra vita".