LUTTO. Addio a Gianfranco Garbuglia: giocò con Samb, Lazio e Udinese
Papà di Enrico, ex giocatore e allenatore, aveva 79 anni. Corridonia e le Marche piangono un grande uomo di vita e di campo
CORRIDONIA. Si è spento stamattina all'età di 79 anni Gianfranco Garbuglia. Ex giocatore professionista, ha vestito in carriera le casacche di squadre molto importanti come Sambenedettese, Udinese, Lazio, Messina e Potenza. Gianfranco era il papà di Enrico, anche lui ex calciatore di Corridonia, Maceratese, Sangiustese, Jesina e Montegiorgio e allenatore di squadre dilettanti tra fermano e maceratese.
Gianfranco è stato uno dei pionieri del calcio a Corridonia. I non più giovani ricorderanno le tante battaglie sportive sul vecchio campo ex E.N.A.O.L.I. Erano tempi in cui la gente accorreva in massa la domenica pomeriggio per seguire la partita. Dall'allora Eugenio Niccolai, come si chiamava la squadra corridoniana, ha preso il volo verso il calcio professionistico.
A Roma, ai tempi della Lazio, lo chiamavano “er gatto”, Gigi Riva di lui disse: "Con il difensore marchigiano non mi sono mai divertito, tutt’altro”. Non è stato solo Riva ad esaltare le qualità del mito di Corridonia ma anche Zigoni che spesso diceva “incontralo non è cosa da poco, quello ti cancella dal campo”. Qualità tecnica e mezzi fisici da vendere nonostante qualche brutto infortunio hanno caratterizzato la vita sportiva di Garbuglia, nato il 24 novembre del 1940. Dopo aver smesso di giocare, per una stagione ha allenato la squadra locale, per poi dedicarsi all'attività di famiglia (macelleria) nel centro storico di Corridonia.
Il rito funebre sarà celebrato domani (mercoledì), alle ore 15,00 presso la chiesa dei SS. Pietro, Paolo e Donato di Corridonia.Lo intervistammo nel 2010 (articolo di Enrico Scoppa) per il free-press Marcheingol. Così ci rispose...
Come è iniziata la tua carriera di calciatore professionista?
“Era l’estate del 1958 quando partecipai ad un torneo notturno ad Ascoli Piceno, difendevo i colori del bar Kursal, mi notò un dirigente della Sambenedettese, Piatti, il quale mi portò a giocare nella mitica Samb. Fu il mio debutto da professionista con la gloriosa casacca rossoblu nel mitico stadio Ballarin”.
Sei entrato subito nel cuore dei tifosi rossoblu? Si dice addirittura che il treno che dalla stazione di Corridonia ti portava a San Benedetto del Tronto si fermava appositamente per te vicino allo stadio Ballarin per farti scendere?
“Nessuno ci crederà ma è tutto vero. Partivo dalla stazione di Corridonia, Piediripa per capirci, con il treno delle 13.30 di ogni lunedì, nella mia valigia chiudevo tutti i sogni di un giovane che stava cercando di dare il meglio di sè per affermarsi con il gioco che più amava, il calcio”.
Ventisei partite con la maglia rossoblu poi l’approdo al grande calcio.
“Per un giovane di provincia come ero io non era cosa facile potersi inserire in una grande città. Racconto un aneddoto. Un giorno, a Roma, un signore distinto con i capelli bianchi mi chiede l’autografo per il nipote, un grande colpo al cuore, capii che era fatta, che anche per me le porte del grande calcio si erano spalancate”.
Lazio, Messina, Udinese, Sambenedettese, Potenza: tappe importanti di una carriera straordinaria?
“Tappe che mi fanno venire i brividi se le ricordo per quello che io ho sempre ritenuto importante, il rapporto con il pubblico, che ho cercato di mantenere sempre intatto. A parte la tifoseria sambenedettese davvero speciale che ho sempre nel cuore come quella laziale, non dimentico quella messinese, e quella di Potenza”.
Il momento più emozionante della tua carriera di calciatore?
“La partita giocata a Nantes con la nazionale azzurra. Ho visto italiani piangere per la gioia di quella vittoria, ho toccato con mano cosa significasse tenere alta la bandiera del proprio paese in una terra straniera, noi giocatori in campo, i tifosi sulle tribune”.
Quando si ventilò il possibile trasferimento alla Roma, cosa provasti?
“Di tutto. C’era gente che mi fermava per strada e mi pregava di non abbandonare la Lazio. Ho visto e sentito di tutto e alla fine decisi di restare in biancoceleste facendo tirare un sospiro di sollievo alla tifoseria”.
Tante stagioni di calcio, tanti tecnici importanti, ne ricordi qualcuno?
“Vorrei, dato che mi si offre l’opportunità, ricordare quello che lasciai a Corridonia, Rosati. Poi Eliani, Fattori, l’argentino Lorenzo, Colomban, tutti grandi maestri che mi hanno insegnato a soffrire e impegnarmi sempre al massino per centrare un obiettivo: difendere la maglia che indossavo. Grandi personaggi da non dimenticare mai”.
Parliamo dei giocatori, quali ti sono restati nel taccuino?
“Tantissimi e tutti bravissimi, Charles, ricordo il mio debutto in serie A nella stagione 1960/’61, Fascetti, Bettini, Maraschi, Bernasconi, Zoff, l’elenco si potrebbe allungare all’infinito. Tutti giocatori che hanno scritto pagine epiche di calcio”.
A suo figlio Enrico (ha allenato San Claudio, Due Emme, Francavilla, Maglianese) ha insegnato i segreti del suo calcio?
“Certo, ma mai raccomandato a nessuna squadra. Quello che ha fatto lo ha fatto da solo con i mezzi a sua disposizione”.
Un consiglio a tanti giovani che sognano il grande calcio?
“Allenatevi, imparate tutto quello che c’è da imparare ed aspettate il vostro turno. Se i mezzi e le qualità non verranno meno arriveranno anche le soddisfazioni. Le forzature non servono, procurano solo delusioni, credetemi ragazzi, non createvi false illusioni”.
Come vive oggi il calcio?
“Dopo l’ultima esperienza nel Potenza, avevo 33 anni, ho chiuso con il calcio, ho voltato pagina, seguo attraverso la televisione i campionati e tutto il mio entusiasmo è stato riversato nel lavoro, gestisco una macelleria di mia proprietà”.