Di Venanzio educatore e magazziniere: "Emozioni da Piccoli Diabolici"
Intervista all'ex calciatore dell'Ascoli che insieme a Bonfiglio dal 2011 porta avanti la nota Scuola Calcio che prende spunto dalla magica annata in bianconero
ASCOLI PICENO. Ha lasciato ottimi ricordi sia all'Ascoli che alla Fermana, ha chiuso nei Dilettanti con Centobuchi, Arquata e Colli, prima di aprire ad Ascoli la Scuola Calcio "Piccoli Diabolici" insieme all'ex compagno proprio in bianconero Mario Bonfiglio. Fabio Di Venanzio (foto), classe 1974, aquilano di nascita ma residente a Castorano (AP), si racconta a marsicasportiva.it.
Lei nella sua carriera ha giocato sia tra i dilettanti che nel professionismo. Quant’è importante per un calciatore che scende in campo giocare di fronte al pubblico delle grandi occasioni?
“Quello che cambia quando si scende in campo è il contorno. Nel senso che entri e osservi, guardi, e magari resti colpito dalla cornice di pubblico. Ad esempio io ho giocato sia a Napoli in uno stadio con 50.000 spettatori che nei campi di periferia con tre persone ad assistere al match, ma quando inizia la partita si è talmente concentrati, che ci si estrania e si pensa soltanto alla partita”.
Passando al presente… allora è dalla sua annata di promozione in B con l’Ascoli che viene il nome della sua Scuola Calcio “I Piccoli Diabolici”?
“Esattamente. Con i Piccoli Diabolici siamo partiti dal 2011 assieme a Mario Bonfiglio, mio compagno di squadra nel periodo dell’Ascoli. Decidemmo di partire con questo progetto che oggi posso dire mi ha aperto un mondo! Un mondo fatto da persone fantastiche, ma soprattutto i bambini… che sono il valore aggiunto della nostra società. Ti vengono i brividi a lavorare per loro per le emozioni che ti trasmettono. I bambini sono l’ombra dell’anima. Con questa esperienza sto vivendo un mondo fatato. Non abbiamo chissà quale struttura. Non abbiamo un presidente o un magazziniere. Facciamo tutto noi”.
Com’è il rapporto con i genitori dei bambini?
“I genitori devono capire che i loro figli prima di tutto si devono divertire. Quando ci portano i loro bimbi noi parliamo chiaro. Non vogliamo fabbricare campioni di calcio, ma vogliamo educare i bambini ai nostri valori che vogliamo trasmettere… gli stessi che avevo quando giocavo e cioè l’amicizia, lo stare insieme ed il crescere insieme. A volte può capitare che dagli spalti un genitore pressi il proprio figlio alla competitività sfrenata e noi cerchiamo sempre di spiegare con il sorriso sulle labbra che questo non rientra nella nostra filosofia. Alla fine se vediamo che alcuni genitori perseverano in questi comportamenti, purtroppo siamo costretti a chiedere agli stessi genitori di portare il loro bambino in un’altra società. Nostro malgrado ci rimette il bambino, ma noi abbiamo l’obiettivo di trasmettere dei valori che in primis li aiuti a crescere e a diventare un esempio per i bambini di domani”.
E’ difficile allenare i bambini rispetto ai grandi?
“Io ho il patentino da allenatore, ma con i bambini sono sopratutto educatore, ripeto devo farli divertire, mica devo insegnargli le diagonali, schemi, fuorigioco ecc. Anzi approfitto per fare un appello a tutte le società che hanno una scuola calcio a cercare la figura di “educatore” e non gli allenatore”.
Vista la difficile situazione del calcio italiano quale rimedio andrebbe attuato secondo lei?
“In Italia purtroppo siamo dietro anni luce. Siamo l’unico paese in Europa in cui i bambini del 2005 giocano a 11. Nel resto d’Europa si gioca a 9 e non capiamo il perché in Italia non sia così. E questo provoca un danno enorme ai ragazzi perché le dimensioni dei campi sono troppo ampie per dei ragazzi di 11 anni i quali toccano pochi palloni. Che senso ha? In Germania, in Svezia, in Danimarca… si gioca a 9. Noi a 11. Spero che prima o poi ci si adegui.”