Romano Mengoni: "Il ritorno in campo dei dilettanti è difficile"
“Ho tutte le analisi sballate. Però sto bene, molto bene. Non ho nessun dolore. Lavoro, riesco a gestire il centro di riabilitazione di famiglia”.
Romano Mengoni (foto) è tornato alla vita ed ai suoi impegni quotidiani dopo la malattia. Il coronavirus che lo ha costretto in ospedale per un lungo periodo è diventato un (brutto) ricordo.
“Non ero d’accordo con la chiusura lo scorso 9 marzo, la sentivo troppo stretta, ciò nonostante sono stato sempre a casa, sempre attento. Vado a messa tutti i giorni, ma in quel periodo non sono andato mai neanche in chiesa. Non ci siamo incontrati neanche con i fratelli, abbiamo una mamma anziana e non volevamo correre il rischio di infettarla. Non sono andato a comprare un giornale, però ho contratto lo stesso il virus. L’ho preso dopo trentacinque giorni che ero a casa, come ancora non lo so”.
Romano Mengoni ha ripreso a lavorare come preparatore atletico con il Gubbio.
“Noi facciamo tamponi una volta ogni cinque giorni, poi una volta al mese facciamo il test sierologico. Ci sono delle regole anche per quanto riguarda l’ingresso in campo, distanziato, di squadre ed arbitro; sono regole forse inutili, anche perché in campo si entra in contatto, andrebbero riviste. La ripresa dei campionati dilettantistici è più complicata, difficile da gestire, faranno fatica”.
Cosa le ha insegnato questa vicenda?
“Ad essere più umile. Pensavo che potessi fare tutto io. Mi alzavo, pulivo, partivo per gli allenamenti, prendevo appuntamenti. Credevo di essere indispensabile al mondo, e invece sono stato io ad avere bisogno di tante cose. In ospedale ho trovato persone eccezionali, grande umanità e professionalità da parte di medici ed infermieri, che mi hanno messo al riparo dalla depressione, dai cattivi pensieri. Ho lavorato in tante parti in Italia, tanti gruppi di preghiera mi hanno mandato messaggi che ancora non riesco a leggere, mi commuovo, non ne ho il coraggio”.